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Accademia Tiberina

già Pontificia per secolare avallo di illuminati Pontefici

L’Accademia Tiberina viene fondata in Roma il 9 aprile 1813 da un gruppo di 26 privati cittadini, dotti e letterati di tutta Italia, residenti nell’URBE (fra i quali: i poeti Giuseppe Gioachino Belli e Jacopo Ferretti, lo storico Antonio Coppi, il medico patriota Pietro Sterbini e l’umanista Gaetano Celti), con lo scopo precipuo: (a) di coltivare le scienze e le lettere latine e italiane e, particolarmente, tutto ciò che riguardava l’Urbe e gli studi storici su Roma; (b) per impegno assunto dallo stesso Coppi, Istoriografo Tiberino, di compilare una storia politico-civile (come si legge nell’Atto di Adunanza dell’11-IV-1813), dal primo armo del regno di Odoacre sino al pontificato di Clemente XIV, e una Storia letteraria dell’epoca suddetta “sino ai tempi presenti, e progressivamente nell’avvenire”.

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Stimati tutti, comunichiamo che solo chi è in regola con i dovuti documenti di adesione e la prevista quota associativa annuale compare nell’elenco degli Accademici Attivi, quindi, se desiderate avere informazioni o spiegazioni sulla mancata indicazione del vostro nome e cv, potete chiamare la segreteria generale che risponde al numero 02.49608200. Intendiamo così fare dovuta chiarezza e pulizia rispetto a quanto assunto in ragione di diplomi non rilasciati dall’Accademia o gratuità non dovute.

Attenzione: l’unico mezzo per pagare le quote sociali annuali o i rimborsi spese per l’ingresso in accademia , è esclusivamente tramite bonifico bancario, la cui distinta serve quale ricevuta di avvenuto pagamento. Ogni altra forma è da considerarsi assolutamente illecita e/o fraudolenta e va denunciata alla segreteria generale o al Presidente.

Il nostro presente, il nostro futuro

Tradere
“Chi infatti può essere tanto stolto o pigro da non sentire il desiderio di sapere come e sotto quale forma di governo i Romani, in meno di cinquantatré anni – fatto senza precedenti nella storia – abbiano conquistato quasi tutta la terra abitata, o chi ancora potrebbe essere tanto appassionato ad altra forma di studio o spettacolo, da considerarlo preferibile alla ricerca storica?”
Polibio, Storie, Libro I
Evidentemente molti italiani di oggi, verrebbe da rispondere. Noi italiani abbiamo un rapporto di odio e amore (e qui già citiamo Catullo) con il nostro passato: o ce ne vantiamo, spesso senza comprenderlo, o ce ne vorremmo liberare trovandolo troppo ingombrante, ammuffito e ingessato dalla tradizione. Un passato dove Roma è stata – e per più tempo di ogni altra – la città più influente d’Europa. Infatti se consideriamo l’impero romano prima e il potere del papato poi, Roma ha perso la sua centralità solo negli ultimi cinquecento anni in ventitré secoli di storia. Di questo lungo periodo di egemonia ci sono tracce pressoché ovunque, dall’alfabeto usato da moltissime lingue occidentali (“latino” appunto), al modo in cui suddividiamo il passare del tempo (romana è l’idea che il nuovo giorno inizi dopo la mezzanotte), la pratica dell’udienza preliminare nei processi, l’organizzazione delle gerarchie militari e anche la diffusione del cristianesimo.
E, naturalmente, l’architettura: ispirata direttamente da quella romana (come il Jefferson Memorial di Washington, a imitazione del Pantheon) o da quella romana rivisitata da Palladio, da Scamozzi e da Longhena, che ha guidato architetti come Inigo Jones and Lord Burlington nella costruzione delle ville della nobiltà inglese, Jacques Lemercier in Francia e Jacob van Campen in Olanda. Può sorprendere poi, che le sonorità “mediorientali” nella musica chitarristica andalusa, in quella popolare per fisarmonica rumena e nel canto popolare dei Balcani, non siano frutto dell’influenza rispettivamente moresca e ottomana come molti credono. In realtà sono tutti stili basati sulla doppia armonica (o scala bizantina), sul modo frigio e dorico, tanto caro a Platone e ad Aristotele, e sullo stile di canto religioso nato nell’antica Roma cristiana. Ciò che le fa sembrare arabeggianti – ma solo al nostro orecchio occidentale perché per gli arabi non lo sono affatto – è il frutto di un condizionamento del cinema americano che ha scelto una scala musicale greca e una tecnica vocale romana per connotare musicalmente nei suoi film il Medioriente. È comprensibile che un passato di una così immensa ricchezza possa essere paralizzante, un’àncora che ci impedisce di riprendere la navigazione. Eppure questo enorme patrimonio di idee, di arte, di scienza e di tradizione che ci siamo trovati in eredità, se studiato e compreso, può rappresentare, in realtà, la nostra occasione di spiegare di nuovo le vele. Uno dei fraintendimenti è proprio nell’accezione che noi diamo al termine tradizione che vediamo sempre contrapposto a quello di innovazione. Eppure tradizione viene dal latino tradere – da cui deriva anche il “trading” di cui tanto si parla
oggi – ovvero consegnare, trasmettere, tramandare. Tradizione è il modo in cui chi è venuto prima di noi ci consegna il suo sapere. È solo conoscendo la tradizione che si può davvero innovare e, se necessario, anche rompere con essa. Se non sappiamo da cosa vogliamo divergere, allora ogni novità che introdurremo sarà aleatoria, senza merito e perderà ogni valore rivoluzionario. Queste considerazioni hanno convinto L’Accademia che, per restare fedele alle sue origini, debba tornare a promuovere in Italia e nel mondo il patrimonio di Roma e delle sue lingue: il latino, naturalmente, ma anche il greco (in cui il romano Marco Aurelio scrive le sue memorie). Lingue inutili e morte, si dice. Può essere ma senza conoscere il latino e senza note a corredo, proviamo a leggere Leopardi. “Quando per l’etra liquido si volve” è un verso bellissimo ma per quanti è subito evidente che l’etra liquido è l’aria fluida? Per il latinista, imminente è qualcosa che sta per succedere ma non senza inquietudine perché incombe sopra di noi (da immineo, sovrastare); una cosa formidabile è eccezionale ma anche per questo spaventosa (da formidabilis, terrificante, terribile); ricordare e rammentare non descrivono allo stesso modo una memoria (perché?).
Dettagli di poco conto, diranno in molti e già anticipiamo la solita obiezione: perché promuovere lo studio della storia antica, del latino e del greco quando si dovrebbe promuovere quello di materie scientifiche più utili per l’economia e il progresso? A questa domanda viene inizialmente voglia di rispondere con un’altra: ma esiste davvero questa dicotomia per cui lo studio di una materia debba necessariamente essere a discapito di un’altra? Studiare latino e greco davvero impedisce di diventare ottimi matematici, per esempio? Sembrerebbe di no visto che gli unici due italiani ad aver vinto una medaglia Fields, Bombieri e
Figalli, hanno entrambi frequentato il liceo classico. E un’altra domanda ancora: si studia matematica perché è utile o perché è bella? Molta ricerca
matematica non ha infatti uno scopo necessariamente pratico. Nel manuale di Analisi Matematica di Gianni Gilardi, l’autore affronta il problema dell’invertibilità di una funzione in modo diverso dalla maggioranza dei suoi colleghi. In molti testi si definisce che per essere invertibile, una funzione, debba essere biettiva, ovvero iniettiva e suriettiva, ma per Gilardi basta che essa sia solo iniettiva. Lo stesso autore spiega che la questione della apparente discrepanza dipende dalla scelta del dominio della funzione e aggiunge: “osserviamo che questa posizione del problema dell’inversione [ovvero la necessità che la funzione sia biettiva] è suggerita dall’esigenza, di natura algebrica e non particolarmente sentita in analisi matematica, di vedere il problema stesso come caso particolare
di uno più generale”. Cito questo esempio per sottolineare come la scelta di Gilardi sia una scelta estetica, di quelle che per dirla con Nabokov, procurano il brivido tra le scapole, per chi ha la sensibilità per coglierla. Un gusto per il dettaglio, che la matematica incoraggia, che non è diverso dal distinguere quando sia
più appropriato rammentarsi di qualcosa piuttosto che ricordarsene. Scelta estetica che probabilmente annoierebbe lo studente di ingegneria più pragmatico che la vedrebbe come un inutile formalismo. L’errore però sarebbe il suo, perché formalismo e gusto per la forma non sono la stessa cosa. E la forma conta: Schumann ammoniva che “soltanto quando la forma di una composizione ti sarà veramente chiara, anche il suo spirito diventerà chiaro”. È interessante osservare quello che Terence Tao, uno tra i più eminenti matematici in attività oggi e anche lui vincitore di una Medaglia Fields, pensi della sua disciplina per rendersi conto che l’utilità pratica non sia la motivazione del perché lui consideri importante studiare la matematica. La matematica è importante, dice Tao, perché insegna a osservare e vedere la realtà in modo nuovo e a trovare collegamenti dove apparentemente non ce ne sono. Anche le varie branche in cui è suddivisa sono in realtà parte dello stesso paesaggio, picchi della stessa catena montuosa (mutatis mutandis quello che succede al musicista accorto quando scopre quante rose haydniane si nascondano tra le spine di Prokofiev). E sempre Tao conclude rammaricandosi di quanto sia un peccato che la vera bellezza della matematica si palesi solo dopo anni di durissimo studio (le sudate carte, per dirla con Leopardi). Chissà se Terence Tao sa che, secondo Diogene Laerzio, Aristotele aveva prima di lui espresso lo stesso sentimento nel celebre aforisma: le radici della conoscenza sono amare, dolci i suoi frutti. Tutti questi dolci frutti del sapere matematico si trovano, però, anche nello studio delle lingue antiche. Le neuroscienze hanno dimostrato l’importanza delle storie e del racconto nella nostra evoluzione. Siamo una specie che di raccontare ha bisogno e la letteratura non è un lusso ma una necessità. Le storie sono una palestra per allenare il linguaggio, per sviluppare l’empatia, per mettere alla prova la nostra capacità di risolvere problemi (quelli dei personaggi) senza l’angoscia che siano
nostri. Servono per immedesimarci nei panni degli altri e vedere il mondo attraverso prospettive diverse e a notare le similitudini meno apparenti.
Leggerle in una lingua antica è una sfida ancora più appagante perché si deve abitare non solo una lingua straniera ma anche una cultura che è temporalmente lontana da noi e ha una sensibilità che non coincide con la nostra. Come scrisse Hartley “The past is a foreign country: they do things differently there”. Come Accademia siamo convinti che valicare la montagna del nostro passato, promuovendone lo studio, sia attuale e necessario oggi come lo era nel 1813. La via resta impervia ma la montagna non si dissolverà semplicemente perché chiudiamo gli occhi. Chiudere gli occhi non conviene mai. Persino nella morte, con le parole della Yourcenar, l’imperatore Adriano ci invita a entrare a occhi aperti.

Il Presidente

Acc. Cav. Dott. Franco Antonio Pinardi

Nuovo inno scelto dall’Accademia Tiberina

L’Accademia Tiberina ha scelto come proprio inno, a larga condivisione degli accademici, il celebre brano Inno a Roma scritto da Fausto Salvatori e musicato da Giacomo Puccini

Trasmissione programmazione attività del Dipartimento Musica

La scrivente Dott.ssa Venera Torrisi, nominata Direttore Nazionale del Dipartimento Musica di questa Accademia, con accettazione incarico del 20 aprile 2022, nonché Presidente dell’Associazione culturale musicale “Maestro Francesco Musmarra”, con sede a Catania, con il fine di promuovere attività di carattere culturale musicale dell’Accademia in tutto il territorio nazionale, [...]

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