Il secolo che ormai viene battistrada di un nuovo Millennio apre il tempo e non sembri iperbolica l’affermazione del “rinnovarsi o perire”; e questo vale per tutto e per tutti, dalle cose agli uomini; ma conta soprattutto per un organismo quale è un’Accademia, che si porta sulle spalle il pondo di quasi due secoli, ma che, in ogni caso, è più viva che mai e protesa, per di più, e con fede indefettibile, verso il futuro.

L’attuale Presidente prof. Mariotti, sgomberato il terreno delle inevitabili “sedimentazioni” che prima o poi sempre affliggono le opere dell’uomo e che sono sovente la conseguenza di inevitabili trapassi di mandato, sta mettendo con entusiasmo l’istituzione coadiuvato con zelo dai diretti collaboratori al passo con i tempi (come riferito in altra parte). In parole più piane ne sta modernizzando e potenziando le strutture e il funzionamento, cosicchè muovendosi dal tempo delle penne d’oca, e dopo i graduali passaggi per stilografiche, biro e macchine dattilografiche (cioè i più disparati sistemi di scrittura), si pervenga in modo compiuto all’uso della computerizzazione e, dal telefono all’impiego sempre più diffuso del “fax”.

I sistemi, insomma che l’informatica mette a disposizione dell’uomo moderno.

Non lasciamoci allora ingannare dalle apparenze suggerite dai… paludamenti; se vista dal di fuori, l’Accademia, con i suoi presunti o reali “ghirigori”, potrà anche apparire un cocchio indorato da tenere ben chiuso in… rimessa; ma a questo proposito sarà bene non ignorare che dentro a questa carrozza si appresta a rombare un propulsore a… più cilindri!

L’adeguamento in parola comporterà inevitabilmente una piccola rivoluzione, solo in parte formale per via dell’irrinunciabile rispetto che si deve alla tradizione, dal momento che nella tradizione stessa risiede, per l’appunto, la continuità (Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo…).

Non v’è chi ignori, a questo punto, come anche l’avanzamento scientifico e l’aggiornamento tecnico (le scoperte e invenzioni al servizio del progresso…) siano state tra i primi dichiarati scopi dei fondatori dell’Istituzione, or sono due secoli all’incirca; e che a questo proposito, che poi vale un postulato, la “Tiberina”, attraverso lo scorrere di lunghi decenni, si sia sempre attenuta. Ma non può essere sottaciuto, a questo punto, che, mentre lo Stato Pontificio (ritenuto da non pochi “retrivo”) è stato sempre prodigo di riconoscimenti sulla funzione culturale e sugli interventi di carattere socio-economico della gloriosa Accademia; e che il Regno d’Italia ne ammise e ne apprezzò la funzione a tutte lettere nella prima fase della sua instaurazione.

Lo stesso Governo fascista, nel varare l’Accademia d’Italia, ben lungi dal sopprimerla, la incorporò nella istituzione (invero prestigiosa) di suo conio.

Non altrettanto sensibile s’è mostrato l’atteggiamento della Repubblica Italiana, dal 1946 ai nostri giorni. E dire che la “Tiberina” annovera nei suoi ranghi non senza legittimo orgoglio dei “Nobel” di tutto rispetto! Avanti allora, è il motto di circostanza; avanti finché il dio delle arti e delle lettere vorrà, verso quel futuro che va in ogni caso riguardato non già come una graziosa concessione, ma come una conquista da acquisire.

Perché, in fondo è poi sempre stato così: le cose facili ad ottenersi possono anche valere relativamente; ma quelle “sudate” gratificano ben di più.

Con questo, la “Tiberina” i suoi meriti se li è, sì, sudati, ma non intende chiudere le porte alla Provvidenza.

È leale comunque dichiarare in questa sede che il decoro di una Accademia non si alimenta soltanto delle pur preziose glorie del passato (che nella fattispecie si contano a centinaia!); ma si nutre e arrichisce pure di quelle del presente, se è vero come è vero che essa ha per scopo precipuo di accompagnare e seguire gli ingegni di ogni tempo nel loro divenire, pronta sempre ad accreditarne il legittimo merito.