Marco Bacci

Igor Silvestri

Marco ed Igor, che dopo anni di apprendistato presso altri Squeri, Igor in special modo nello Squero tra i più rinomati costruttori di Gondole, quello di: Gianfranco Vianello, detto: “Crea il campione del remo”, raccontano come stanchi della loro routine, da circa 30 anni abbiano rilevato in società, uno degli Squeri più Antichi di Venezia, per cambiare radicalmente la loro vita e diventare così: Squerariòli e svelano alcuni dei segreti di costruzione. Al fine di capire meglio di cosa si tratti, è necessario inserire alcune pagine scritte dal Dott. Giovanni Caniati, funzionario presso l’Archivio di Stato da oltre trentanni.

Per ragioni di spazio, abbiamo dovuto scegliere uno tra gli articoli più rappresentativi, dell’Associazione “Arzanà”. Si coglie l’occasione per ringraziare il Dott. Giovanni Caniati per la concessione dei testi da egli stesso già pubblicati.

Arzanà è il nome antico dell’Arsenale di stato Veneziano tramandato da Dante nella Divina Commedia. Arzanà è anche un’associazione non-profit che ha come fine statutario lo studio, il restauro e la conservazione delle imbarcazioni tradizionali della laguna di Venezia.

Arzanà è stata fondata nel 1992, dall’esigenza di riunire e creare una sorta di casa comune per tutti gli esperti locali ed internazionali di etnografia e storia navale dell’alto adriatico, in particolare di matrice veneta. In tutti questi anni d’attività, ha acquisito una cinquantina d’imbarcazioni autoctone della laguna di Venezia. Sono tutte barche in legno, alcune a vela e/o a remi, molte delle quali divenute ormai pezzi unici. Inoltre sono anche stati recuperati attrezzi, strumentazioni ed altri

reperti di interesse storico etnografico provenienti da squeri, o botteghe artigiane che hanno cessato l’attività, frutto di ritrovamenti o donazioni effettuate da privati cittadini.

Il tutto è attualmente conservato nella piccola sede museale in Calle delle Pignatte a Cannaregio. Tale sede museale è un antico cantiere navale – in veneziano squero – attivo sin dal quattrocento e ed efficiente fino al 1920, dove adoperava una delle più importanti dinastie di costruttori di

gondole originari della Val di Zoldo: i CASAL

L’Arsenale: maestranze e organizzazione del lavoro

di Giovanni Caniato – Storia di Venezia (1996)

Le fonti:

L’estrema povertà dell’archivio dei patroni e provveditori all’Arsenal, per quanto riguarda le scritture relative al XV secolo, non consente di valutare in ogni suo dettaglio tutte le fasi d’una vicenda che dovette avere ben altri riscontri documentarii. A tali lacune s’è potuto, in qualche misura, sopperire grazie soprattutto all’indagine condotta sulle coeve fonti degli organi superiori dello Stato, in particolare le deliberazioni del pregadi ed inotatorii di collegio; va tuttavia tenuto presente che, quanto a quest’ultime, disponiamo soltanto delle “copie originali” a registro delle parti prese, non degli atti sciolti preparatori alle deliberazioni (parzialmente conservati soltanto dalla metà del Cinquecento). I provvedimenti relativi alla gestione quotidiana della Casa dell’Arsenal e ai criteri d’organizzazione delle maestranze ingaggiate, comunque, non richiedevano di regola l’intervento del senato o dei consiglieri e quindi – anche a livello di riscontro documentario – non potevano che essere registrati nell’archivio proprio dei patroni, nonché (almeno in parte, come si vedrà) nelle mariegole dei singoli corpi d’Arte.

Lacunosi, per tutto il Quattrocento e oltre, sono altresì gli archivi di quelle magistrature che più direttamente ebbero giurisdizione, con funzioni d’indirizzo, di controllo ed anche giudiziarie, sulle corporazioni di mestiere: da quello dei giustizieri (poi ufficiali, o provveditori, alla giustizia vecchia), che conserva le redazioni duecentesche di molti capitolari delle Arti, ma non quelle più tarde, a quello dei provveditori di comune, magistrato cui fin dal secondo Trecento venne affidato il controllo sull’importazione dei navigli provenienti dai cantieri extra Dogado, nonché il compito di favorire il ritorno a Venezia delle maestranze addette alla costruzione navale. Con deliberazione del pregadi del 6 settembre 1429 gli stessi provveditori di comune furono inoltre associati ai giustizieri vecchi – con funzioni di supervisione e controllo nel merito, limitatamente ai provvedimenti adottati da questi ultimi in materia di – Arti e così uniti diedero vita ad un collegio al quale si deve non poca della legislazione e normativa specifica elaborata tra il quarto decennio del Quattrocento e la metà del secolo successivo, nonché l’aggiornamento e la revisione di buona parte del corpus statutario relativo alle corporazioni di mestiere direttamente o indirettamente legate alla cantieristica navale. Anche la più antica produzione documentaria di quest’ultimo collegio è tuttavia andata in larga misura perduta nella sua redazione originaria, analogamente a quella delle due magistrature che lo componevano.

Giovanni Caniato, 1996

Il “batelìn da nasse” dell’Associazione Arzanà. Scheda storica

Questo filante “batèlo da nasse”, di fattura buranella, venne costruito nei primi anni ’50 del secolo scorso da uno dei maestri d’ascia della vecchia generazione degli Amadi, dinastia di squerariòli attivi a Burano senza soluzioni di continuità almeno dalla prima metà del XVI secolo: il costruttore del nostro batèlo fu probabilmente Aldo Amadi, che oggi avrebbe più di 100 anni di età. Utilizzato in origine a supporto della pesca endolagunare con il bragòto e con le nasse in laguna nord e nell’area portuale di San Nicolò-Treporti, alla fine degli anni Sessanta venne acquistato da un marangón (falegname) di Venezia che lo utilizzava come barca di servizio per la movimentazione di materiali e attrezzi in città; nel 1979 venne acquisito dall’allora neonato Gruppo remiero San Polo dei Nomboli, che aveva la sua prima sede sociale nei pressi del rio dei Frari e, a decorrere da quell’anno, ricoverò il proprio parco-imbarcazioni in un capannone all’interno dell’ex Macello comunale in Punta San Giobbe. Il Direttivo del gruppo remiero provvide a far adattare la barca per la voga a 4 remi, modificando i trasti e le sovrastrutture di prua e di poppa per ampliare lo spazio di

sentina, rivestendo con un foglio di mogano le coperte per mascherare l’originale fasciame in tavole di abete ed eliminando metà del corbàme (le ordinate, ossatura portante dello scafo). Vennero infatti rimosse, una sì e una no, le corbe di sentina, forse con l’intento di alleggerire l’imbarcazione che da allora venne destinata in esclusiva al diporto e alla pratica della voga alla veneziana. Ribattezzata Nombolòta, la piccola batèla ebbe per un paio di anni il privilegio di essere l’imbarcazione ammiraglia della remiera dei Nomboli, fino a quando il sodalizio riuscì a dotarsi di imbarcazioni di rappresentanza più capienti, fra le quali un’elegante balotìna a sei remi e una caorlina da regata, anch’essa di regola condotta da sei vogatori. Essendo più lento e pesante rispetto alle altre barche sociali costruite in compensato marino, il nostro batèlo da nasse (chiamato anche batelìn a Venezia, per le sue dimensioni ridotte rispetto alle consorelle della medesima tipologia, appartenenti alla più ampia famiglia delle batèle) rimase a lungo inutilizzato in un capannone all’interno dell’ex Macello di San Giobbe.

In occasione del trasferimento dell’intero parco-imbarcazioni delle società che avevano il proprio cantiere nautico nell’ex Macello, riallocato all’inizio del 2001 nella nuova sede costruita per iniziativa dell’Amministrazione comunale nei pressi di Sant’Alvise, il nostro batelìn – oramai inutilizzato da anni – venne donato dal Gruppo remiero dei Nomboli

all’Associazione Arzanà che nel 2006 ha promosso il radicale restauro filologico dell’opera viva, recuperando la struttura originaria dell’imbarcazione, eliminando il rivestimento esterno in fibra plastificata, sostituendo le tavole in abete del fondo oramai marcite e ricostruendo con le medesime forme ed essenze le ordinate (corbe) mancanti.

Il restauro venne affidato al maestro d’ascia Alcide Battistin, ultimo rappresentante di una antica “dinastia” di squerariòli originari della Valle di Zoldo, già titolare insieme al fratello Aristide di un tradizionale squèro da sotìl affacciato sul rio dei Servi che cessò l’attività in quegli anni e venne poi adattato a sede di un’impresa edile.

Con la scomparsa del suo ‘gemello’, un filante batelìn da 21 piedi che faceva parte del ‘parco imbarcazioni’ pertinenti allo stàzio da fitabatèle di San Boldo (l’Arzanà ne ha recuperato dalla demolizione la prua, una ventina di anni or sono, oggi conservata nei depositi museali di Forte Marghera) il nostro batèlo da nasse è oramai l’unico esemplare superstite di questa elegante tipologia navale lunga 21 piedi veneti (circa 7 metri e 30 cm).

Rispetto alle centinaia di esemplari che circolavano in laguna fino agli anni Settanta, oggi rimangono ancora non più di 5 o 6 batèle naviganti, lunghe dagli 8,5 ai 10,5 metri e larghe in proporzione.

Per una quindicina di anni il nostro batelìn è stato mantenuto costantemente in acqua e oggetto di periodiche manutenzioni e piccoli interventi di restauro negli squèri di Venezia, Murano e Burano. E’ una delle imbarcazioni più utilizzate dai soci per la sua eleganza e manovrabilità e fra le più richieste dalle produzioni cinematografiche che girano in Venezia filmati o documentari d’epoca. L’accentuata usura dello scafo lungo il galón e l’inevitabile progressivo degrado dell’opera morta (la quale non era stata oggetto di interventi di restauro nel 2006), ha imposto la necessità di avviare un intervento conservativo e, in parte, ricostruttivo, da effettuarsi in particolare mediante la rimozione del rivestimento in fogli di mogano incollati intorno al 1979 sulle coperte di prua e poppa, l’eventuale sostituzione del sottostante fasciame di coperta, la rimozione dei tre trasti non originali e la loro sostituzione con altrettanti in rovere, di spessore proporzionato.

Il Direttivo dell’Associazione Arzanà aveva convenuto alla fine del 2020 di affidare questo improrogabile intervento di restauro filologico all’antico squèro della Società di Mutuo soccorso fra carpentieri e calafati, ubicato sul canale di San Piero di Castello all’estremità orientale di Seco Marina, nel quale operano da alcuni anni i maestri d’ascia Marco Bacci e Igor Silvestri, fra i più esperti costruttori di barche in Venezia.

Grazie al contributo economico successivamente è stato possibile effettuare un più radicale intervento conservativo all’intero scafo, ricostruendo nelle linee e con i materiali originarii – quelli impiegati nei primi anni Cinquanta – l’intera opera morta dell’imbarcazione, sostituendo le masse (o falche) ammalorate e il bottazzo protettivo delle medesime, rifacendo integralmente le coperte di prua e di poppa con tavolette di larice inchiodate sulle cadéne ed intervenendo altresì sull’opera viva, mediante la sostituzione di porzioni dei nónboli e del coppo che unisce e protegge il galón (spigolo) fra il fasciame del fondo e quello di fiancata. Sono stati inoltre sostituiti i pónta-pìe e il pezón soranèrva della forcolaùra di poppa, procedendo infine al calafataggio ove necessario e alla dipintura a smalto oleoso in più mani, preceduta da imbibizione del fasciame con impregnanti naturali.

Giovanni Caniato, 24 luglio 2021

Prima gondola eseguita da Marco & Igor

STORIA DELLA GONDOLA

Inizialmente, nell’Antica Venezia, l’unico modo per potersi spostare tra le Isole, non esistendo certo ancora i Ponti oggi esistenti, era solo la Barca. Infatti, un famoso detto Veneziano, parla delle Gondole legate fuori dall’ingresso delle abitazioni, come per i cavalli in terraferma.

Questa tipologia di imbarcazione, all’origine, era adibita allo solo scopo della pesca, per lo spostamento merci o per matrimoni ed ovviamente: Funerali. Ma il colore non è sempre stato il Nero, o meglio, la Guarnizione, nel corso dei Secoli subirà delle variazioni, con abbellimenti personalizzati dai vari Nobili, in funzione della Ricchezza Patrimoniale della Famiglia. Fu così che un intervento del Doge, fece intervenire il Senato della Repubblica per frenare questa corsa al lusso ed ostentazione di ricchezza, imponendo il colore nero per tutte le gondole con un decreto datato 8 ottobre 1562.

Queste imbarcazioni, all’origine, avevano quindi necessità di un fondo piatto, onde evitare di arenarsi sui bassi fondali, un po’ come tutte le imbarcazioni adatte per le Palustri.

É a partire dal XVI secolo circa, che s’inizia quindi a parlare di un’imbarcazione chiamata “Gondola”. Chi dice che il nome derivi dal Latino ed invece chi afferma che derivi dal Greco. Molto, sulla storia della Gondola si trova sul Web, ma noi riportiamo esclusivamente ciò che ci raccontano Marco ed Igor, che prima di rilevare lo Squero, hanno fatto i “Garzoni” in altri Squeri, quindi: “Soto Paròn”…..

Per diverse esigenze personali e professionali, la Gondola subisce modifiche sostanziali che le danno l’attuale forma, appunto a “Gondola” o “Arquata”.

Godersi il Giro in Gondola è un sogno per tutti i turisti che visitano la città, ma lo è anche per i veneziani. Le spose veneziane fanno ornare la Gondola a festa con fiori bianchi, si fanno accompagnare da due bei gondolieri vestiti di bianco con la cintura d’orata e salgono, invidiate dalle amiche, per il più bel percorso sul Canal Grande che porterà la sposa all’altare ed al letto nuziale.

L’origine del nome è ancora da stabilire. La versione più accreditata indica che derivi dal latino cymbula, che significa barchetta, ma altre fonti indicano l’origine nelle parole greche kondùlion che indica una poco consona cassa o kountelàs che indica una nave corta.

Lunga 11 metri, larga 1,40 ed alta circa 0,65, ha una forma asimmetrica sull’asse longitudinale, quello che attraversa la barca da prua a poppa, con uno scostamento di circa 24cm a destra rispetto a quello di sinistra. Questo permette al gondoliere di manovrare con più facilità l’imbarcazione, a compensazione dello scostamento, dovendo stare sullo specchio di poppa spostato in alto sul lato sinistro, dalla parte opposta dello speciale scalmo, la Forcola.

Per di più bisognava che il conducente potesse guardare avanti per evitare di andare a sbattere su tronchi galleggianti o sulle rive emerse delle Barene. Per migliorare la spinta ed avere un controllo maggiore, gli abitanti delle valli da pesca avevano una tecnica di remata particolare con due remi; questa tecnica viene definita appunto alla valesana.

La Voga Veneta voga in piedi nella parte posteriore dell’imbarcazione, diventa quindi una necessità per i veneziani, da Pope’ con l’aiuto delle Forcole i particolari scalmi che non trovano eguali in nessun’altra parte del mondo.

Prima che si potesse avere la gondola così come la vediamo oggi sono occorsi secoli di cambiamenti e miglioramenti nella costruzione della barca che più di ogni altra simboleggia Venezia. Era l’imbarcazione più comoda che esistesse per il trasporto passeggeri in laguna. Sulla parte centrale, dove sono i posti a sedere, durante la stagione fredda, veniva coperta con una particolare cabina, il Felze (si vede smontato in una foto successiva), che permetteva l’isolamento dal freddo ed anche dal gondoliere, avendo finestrini a vetri ed una porta anteriore. Il felze era coperto completamente da un panno chiamato “rassa”, dal turco rascia, che veniva prodotto nelle vicinanze di San Marco nella calle che ancora oggi è Calle delle Rasse.

Asimmetria della Gondola

Le gondole venivano costruite in cantieri sparsi in tutta la città, i cosiddetti Squeri. Erano luoghi nei quali c’era una rampa che usciva dall’acqua dalla quale si poteva facilmente varare o portare all’asciutto l’imbarcazione nel momento in cui faceva acqua, cioè quando i legni, non più saldati tra loro, cominciavano a far filtrare acqua all’interno della barca. Il più famoso, perché più facilmente visibile dalla fondamenta opposta, ed attualmente ancora in funzione come pochi altri è lo Squero di San Trovaso. Non molto distante, ma più nascosto, si trova lo Squero di D.co Tramontin, uno tra i più famosi in tutto il mondo, dove il Sig. Marco, dapprima ha fatto il “garzone” poi il Maestro d’Ascia, inoltrandosi poi nella sua avventura con il Socio Sig. Igor.

Per costruire una Gondola -ERA- necessario l’uso di diverse essenze di legno in relazione alla posizione del legno e al suo comportamento  in relazione con gli altri legni. Oggi, per molteplici ragioni, legate al costo dei materiali e dalla difficile reperibilità degli stessi, le tipologie di legno sono diminuite drasticamente e, purtroppo, o forse meno male, sopratutto se si pensa all’utilizzo obbligatorio degli Alberi, le Gondole possono essere costruite appunto con una minor tipologia di legname.

Una volta terminata la costruzione lignea della Gondola viene opportunamente decorata ed ogni gondoliere ha la possibilità di addobbare la propria gondola con particolari abbellimenti ed accessori, il cosiddetto “parecio” in veneziano, da “Apparecchiatura”. Si, ora è stato concesso un minimo utilizzo di arricchimenti ornamentali, ma con moderazione. Alcune gondole hanno lo specchio di poppa intagliato o dipinto quindi soggettivo in base alle esigenze del gondoliere, tutte hanno gli ottoni sia a fianco delle poltroncine che sul faral, le poltrone sono di stoffe preziose ed i cuscini che le coprono sono morbidi e colorati.

 

Per non parlare della Forcola e dei remi, essenziali per il governo della gondola, che devono essere costruiti in relazione all’altezza di chi lo deve adoperare, del suo peso, della forza che usa per procedere con la barca, in una parola personalizzati, su misura del gondoliere.

 

Al fine di salvaguardare questo “Oggetto d’Arte che è la Gondola”, è stata data vita ad un’associazione apposita, per riunire tutti i realizzatori dei componenti della Gondola. El Felze è il suo nome ed associa squerariòli e remeri, otonèri e fravi, intagiadòri e indoradòri e poi ancora marangòni e tapesièri, baretèri, caleghèri e sartori.

Proprio perché simbolo della città la Gondola viene anche adoperata per tutte le manifestazioni che debbono mettere in risalto la venezianità dell’evento, così nelle numerose regate non possono mancare gondole e gondolieri privati che si uniscono ai cortei. Durante la Regata Storica le gondole aprono il corteo con a bordo le cariche più importanti, civili ed ecclesiastiche, gli ambasciatori ed i principi di altri stati, ma il loro uso non è esclusivo per le serenate romantiche ed addobbata a festa è il sogno di ogni sposa veneziana, che con il lungo velo bianco, i gondolieri vestiti da parada (da parata) le poltroncine dorate e lo sposo a fianco, raggiungono il massimo della felicità percorrendo il Canal Grande sapendo che gli occhi di tutti sono rivolti a loro.

Non ci sono turisti o veneziani che non vogliano fare un giro in gondola, per questo bisogna conoscere bene le Tariffe della Gondola. Per chi volesse solo dire di esserci salito, almeno per un breve tratto, può farsi traghettare da una sponda all’altra del Canal Grande con una cifra modica, ma che ha subito anch’essa un’impennata nei prezzi nel corso degli anni. Esistono quindi, giusto o sbagliato che sia, due tariffe distinte per i veneziani e per i foresti. Resta comunque un dilemma: come faranno i gondolieri a stabilire una tariffa o l’altra? Il prezzo va in base a come un utente si veste o se ha o meno la macchina fotografica a tracolla? Sarà sufficiente tirar un saraco in venexian? Oggi, fortunatamente esiste la Carta Unica Venezia, che consente di utilizzare i mezzi pubblici al costo di residente od abbonato non residente, ma operante sul suolo Veneziano.

Il Ferro – Svela i Segreti di Venezia

Il ferro da gondola raccoglie nella sua forma l’essenza stessa della città di Venezia.

Una volta di grande peso e fondamentale per la stabilità dell’imbarcazione, veniva montato per bilanciare il peso del gondoliere a poppa, ma ha forme e decori che evocano le peculiarità veneziane. Ora non è più nello stesso materiale utilizzato in origine, cioè, d’apprima: il Ferro pieno, poi l’Alluminio ed infine da un Laminato inscatolato di Ferro, per mantenere la forma originale con un peso minimale, infatti, le varie evoluzioni, hanno fatto si che non serva più ottenere stabilità attraverso i due Ferri.

La forma del ferro è stata studiata nei minimi particolari perché potesse concentrare in un unico oggetto, la vera Carta d’Identità Veneziana, la conformazione socio politica della città, la suddivisione geografica e la forma giuridica dello stato della Repubblica di Venezia.

Iniziando dalla sommità del ferro della gondola si riconosce distintamente la forma del Corno ducale cioè del Doge, detto anche zoia o zogia, appunto il cappello del Doge, che è stato il simbolo del capo di governo cittadino fin dalla nascita della città. Sotto, prima dei rostri, un arco che per molti sta a simboleggiare il Ponte di Rialto.

I sei rostri che in successione si allineano sulla parte frontale indicano la divisione geografica della città con i suoi sei sestieri (sestieri appunto perché sei, non quartieri come quelli di romana memoria, che suddividevano il campo romano in quattro parti). San Marco, Castello, Cannaregio, Dorsoduro, Santa Croce e San Polo, che si dividevano a loro volta in de citra i primi tre, e de ultra i secondi, in relazione alla loro posizione di qua o di là del Canal Grande.

Tra i rostri frontali, intervallati, tre piccole forme come fossero dei merletti, i gondolieri le chiamano le foglie, indicano le tre più grandi isole dell’estuario veneziano, Murano, Burano, Torcello, sedi di importanti e fondamentali punti di riferimento della città.

Per ultima, ma non ultima, la Giudecca o Spinalonga, che, per la sua posizione geografica, viene indicata nel ferro da gondola nella parte posteriore, nella quale spicca proprio perché unica parte esterna di una linea curva, che dalla sommità del Corno ducale arriva, come una sinuosa onda, ad accarezzare l’acqua e a fondersi in un tutt’uno con l’imbarcazione.

Il Ferro da Pope invece è un piccolo riccio che dimostra la raffinatezza dei costruttori di Gondole. Un esempio su tutti, il riccio posteriore, o da pope, su alcune gondole, essendo il punto più alto della Gondola è parzialmente tagliato per permettere il transito sotto i ponti anche in condizioni di Acqua Alta. In questo caso il riccio si piega su un perno e non striscia sotto i ponti durante il transito della gondola. Ovviamente il Gondoliere deve abbassarsi, in alcune condizioni addirittura sdraiarsi sullo specchio da pope, mantenendo con una mano la conduzione dell’imbarcazione.

Lo Squero acquisito da Marco e Igor, è datato anticamente pur non essendo in grado di potergli dare un’annualità di nascita, una data però esistente è quella della Donazione effettuata dall’allora Re d’Italia nel 1056, alla Fam. Scalapati, con il solo obbligo di mantenerla nello stesso dato di fatto, ne corso degli anni, senza effettuare alcuna variazione muraria, tranne per la normale manutenzione.

 

Infine, la Gondola può avere da Uno a Due remieri, per il trasporto Turisti, che possono crescere fino ad Otto a seconda che si tratti di mero trasporto: merci oppure Evento Storico.

Altri nomi che troverete sono il: Sandolo, simile ma diverso dalla Gondola (anche se alcuni gondolieri lo spacciano per Gondola ai turisti ignari), Sandolino, leggermente più slanciato, utilizzato per le Regate Storiche, entrambi tra i 6 ed i 9 mt di lunghezza, ed infine, il Pupparin o “Puparin”, che va tra gli 8 ed i 10 mt.

Replica del ‘700

Nascita di una Gondola