Cecilia Crisafulli

Presentazione

Sono Cecilia Crisafulli, la violinista di Max Raabe e Palast Orchester. Unica donna e unica italiana del gruppo www.palastorchester.de
Ho 38 anni, sono nata e cresciuta a Venezia, anche se le mie origini sono siciliane, e abito da 19 anni a Berlino. Sono mamma di due bambini (Julia e Nicolas) che mi hanno accompagnato in tournée nei primi anni della loro vita. La Palast Orchester è stata fondata nel 1986 da Max Raabe e alcuni studenti coetanei. Numerosi i cd, dischi in vinile e dvd registrati da allora dalla Band. I Paesi in cui suoniamo regolarmente oltre a tutti quelli europei sono la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, la Scandinavia. Abbiamo suonato anche in Libano, in Israele, in Cina (anche se in quest’ultimo Paese prima del 2007, anno in cui ho vinto il concorso di nuova violinista del gruppo). Suoniamo regolarmente in teatri molto famosi tra cui la Carnegie Hall di New York, la Davies Symphony Hall di San Francisco, la Symphony Hall di Chicago, la Finlandia Hall di Helsinki, il Kulturverein di Vienna, la Philharmonie di Colonia e di Monaco, la Salle Pleyel di Parigi etc.
In Italia ci siamo esibiti nei teatri di Verona, Napoli, Milano, Merano, Taranto, Catania…
Numerosi gli articoli su di noi; io sono stata intervistata in Italia per alcuni giornali, tra cui la Gazzetta del Sud, il Gazzettino, la Gazzetta del Veneto, riviste, blog e per diverse stazioni radiofoniche, tra cui Radio Capital, Radio Subasio e Radio Monte Carlo.

Affermata Violinsta in Germania, Cecilia Crisafulli (nella foto) 36 anni, di Venezia, è l’unica
Italiana a far parte della Prestigiosa Palast Orchester di Berlino, fondata nel 1986 da Max Raabe.
I Paesi in cui la Band si esibisce regolarmente, oltre a tutti quelli Europei, sono: la Russia, gli Stati
Uniti, il Canada, il Giappone, la Scandinavia.
Anche in Libano, in Israele, in Cina, e ripetutamente in teatri molto famosi, tra cui la Carnegie Hall
di New York, la Davies Symphony Hall di San Francisco, la Salle Pleyel di Parigi. A Novembre
due tappe in Italai: il 25 al Teatro Dal Verme di Milano ed il 26 al Kursaal di Merano. Ma
stranamente, ed è questo il criccio di Cecilia, è ancora poco conosciuta in Italia, ove meriterebbe
certamente maggior attenzione da parte dei Media, per le sue sytraordinarie qualità musicali.
Violinista provetta, è anche mamma di due splendidibambini (Julia, 4 anni e Nicholas, 16 mesi) che
da quando sono nati, la accompagnano in Tournèe.
Michele Biafora

Ognuno è artefice del proprio destino e Cecilia Crisafulli, di sangue Siciliano, gestisce il suo destino
nel modo che le è più congeniale, partendo giovanissima dall’Italia, Venezia nella fattispecie, dov’è
nata ed ha avuto la prima formazione artistica, verso una Nazione a lei sconosciuta, la Germania,
per affinarsi ed affermarsi nel Mondo Artistico Musicale.
D’indubbie qualità musicali, lo dimostra l’essere l’unica Donna Violinista ed anche l’unico
Musicista Italiano a far parte di questa prestigiosa Orchestra, che si è già esibita in ogni dove, sul
suolo terrestre, ottenendo riconoscimenti nei più prestigiosi Teatri.
Al Maestro d’Orchestra Cecilia Crisafulli, va tutta la mia considerazione, augurandole di vederla
presto esibirsi sul suolo Italiano, e perché no, alla Fenice di Venezia, sua patria di nascita?
Sensibilizzerò personalmente, l’Amministrazione Comunale attuale, affinché compatibilmente con
le problematiche legate alla situazione COVID19, organizzi un evento ad invito, in cui il Maestro
Cecilia Crisafulli possa mostrare ai suoi concittadini, il suo valore e quello dei suoi colleghi Maestri
della Palast Orchester di Berlino.
Franco Spada

BERLINO QUOTIDIANA

BERLINO, LA MUSICA CLASSICA E IL RUOLO DEL MUSICISTA: CONVERSAZIONE CON CECILIA CRISAFULLI, VIOLINISTA DELLA PALAST ORCHESTER

di Erika Silvestri

I modi in cui si può vivere una città sono infiniti e senza fine sono anche le dimensioni temporali nelle quali riusciamo a infilarci, nel nostro personale rapporto con ciò che ogni luogo ha da offrirci.

Cecilia ha sempre vissuto Berlino nel presente, ce ne parla davanti a un caffè mentre proviamo a raccontarci cosa abbiamo trovato, da italiani, in questa capitale così lontana dai luoghi nei quali siamo nati. “Ci sono occasioni in cui mi confronto con la sua storia, ma nel quotidiano mi capita di rado. Stando sempre in viaggio passo poco tempo a Berlino e vivo la città per quello che mi ha offerto, per quello che mi ha dato e per le opportunità che vedo costantemente anche per i miei figli. Quando l’ho visitata per la prima volta ho provato un senso di libertà”, ci ha detto, e questa frase ci è subito sembrata importante, se consideriamo che un muro ha diviso la città per quasi quarant’anni. Quel senso di libertà e di apertura che Cecilia ha trovato in Germania, le era mancato nella sua Venezia ed era invece molto simile all’atmosfera “siciliana” nella quale era cresciuta in casa. “Questa difficoltà ad aprirsi dei tedeschi mi è sempre pesata, anche se Berlino è un insieme incredibile di culture diverse e questo è ciò che non c’era stato nella mia vita veneziana. Ho capito dopo anni che in Italia c’era un problema di cultura scolastica e non era colpa mia se non riuscivo a integrarmi. Ho frequentato il liceo classico e lì non ho ricevuto nessuna educazione musicale, figuriamoci chi, tra gli amici e gli insegnanti, poteva capire le mie ore di esercitazione al violino, solfeggio e studio! Per loro era una perdita di tempo”.

È grazie all’indirizzo del padre Pierluigi, violinista al teatro La Fenice, che Cecilia inizia a studiare violino privatamente, per poi diplomarsi al Conservatorio Benedetto Marcello e infine spiccare il volo, lasciando l’Italia. È Antonino Schilirò, un amico di famiglia, insegnante di storia della musica al Conservatorio di Milano, a portarla a Berlino, dove nel 2002 Cecilia conosce quello che sarà il suo maestro, Axel Gerhardt e inizia a frequentare la Universität der Künste.

Il mio percorso universitario è stato stupendo”, ci racconta, “anche se la separazione dalla mia famiglia mi è costata tanta fatica, molta di più di quella che avrei potuto immaginare. Nel mondo universitario ho trovato professori che mi hanno appoggiata in tutti i sensi e sono ancora oggi in contatto con loro. Una situazione molto diversa, insomma, dalla realtà italiana.

Tante volte, parlando tra professionisti italiani che vivono in Germania e lavorano in settori diversi, ci siamo sentiti dire che il rapporto con i tedeschi è spesso complicato, quasi fosse impossibile superare quelle che a prima vista possono sembrare piccole differenze e forse stereotipi, come il calore del mondo mediterraneo e la freddezza nordica. Per Cecilia non è stato così, la sua mediterranea propensione alla socialità è riuscita a vincere le riserve teutoniche: “I tedeschi cercano da sempre l’Italia, come luogo di vacanza. Io credo sia anche perché in fondo gli piace questa nostra apertura. Io mi sono sempre presentata per come sono, se il mio carattere di origine siciliana mi porta a essere aperta, l’ho fatto a tal punto che li ho spiazzati, li ho coinvolti. Quindi mi domando: è il tedesco ad essere chiuso, o siamo noi che di fronte a questa chiusura non riusciamo a fare breccia? Ho sempre detto ai miei amici tedeschi di venirmi a trovare senza preavviso, anche se loro hanno questa consuetudine sociale di avvisare sempre prima.” Non a caso, ci racconta che la prima parola che Axel Gerhardt le ha insegnato è stata “frech”, “sfacciata”!

Cecilia è stata insomma la persona giusta al momento giusto, e quando nel 2007 la Palast Orchester ha indetto un concorso per cercare la nuova violinista, lei ha inviato la candidatura quasi senza pensarci. Ha scoperto di essere stata selezionata per le audizioni solo al ritorno da un viaggio in Brasile, a cinque giorni dalla prova: “Inizialmente ho messo la notizia da parte, ma poi ho pensato che sarebbe stato divertente provare. Mi sono messa a cercare i CD da Dussmann perché non conoscevo neanche un pezzo e ho dovuto prepararli in pochissimo tempo. Il 17 gennaio sono andata all’Admiralspalast, dove era fissato il concorso e dove ora ci esibiamo ogni anno. Non sapevo esattamente come si sarebbe svolto, ci avevano richiesto sei brani dal repertorio dell’orchestra, che io ho avevo preparato a memoria e questo è stato uno dei motivi per cui mi hanno scelta. Sono stata la prima a suonare e dopo il primo turno ci hanno riunite per annunciare che avevano scelto me, all’unanimità. È stato pazzesco! Non me lo aspettavo, l’ho fatto senza pensarci troppo e non sapevo di avere di fronte delle star! Non ho avuto neanche il tempo di informarmi su di loro, ma forse è stato meglio. L’Admiralspalast rimarrà sempre uno dei posti di riferimento della mia vita.

Conciliare lo studio con i ritmi del gruppo non è stato facile, all’inizio: “Ho seguito due indirizzi, quello pedagogico, per insegnare violino nelle scuole e quello per suonare nelle orchestre. Vincendo il concorso ho dovuto sospendere gli studi per due semestri: l’impegno di lavoro era importante e ho preferito concentrarmi. Gli ultimi esami li ho dati tra una tournée e l’altra!

L’identità della Palast Orchester è molto definita e la scelta stilistica riporta alla vita l’atmosfera degli anni ’20 e ’30. Cecilia si è dovuta inserire in un gruppo già formato, di soli uomini e come unica italiana.“All’inizio sono stata sopraffatta dal numero infinito di pezzi che dovevo preparare in vista delle tournée, quindi più che pensare alla musica degli anni ’20 e ’30, pensavo a studiare a memoria i brani. La mia relazione con quegli anni è arrivata con il tempo, quando ho imparato a conoscere gli autori e anche a confrontarmi con la storia del tempo. All’inizio quasi bastava che fossero brani belli, che mi sono subito piaciuti. Avevo tante cosa a cui pensare! Gli abiti, le prove con la truccatrice… tutte cose che a ventiquattro anni entusiasmano.

Tra le centinaia di tournée in tutto il mondo, la Palast Orchester si è esibita anche in Israele: Io ero un po’ preoccupata, invece siamo stati accolti con un affetto che penso nessuno di noi si sarebbe aspettato. Ai nostri concerti sono venute moltissime persone anziane che avevano vissuto quegli anni e suonare per loro è stato molto emozionante.

Cecilia ci racconta di come il gruppo abbia vissuto quel viaggio in modo particolare, più “silenzioso” degli altri, “Come se si avesse incredibile rispetto per il paese in cui andavamo. Si voleva fare un omaggio a tutti coloro che hanno sofferto o che venivano ad ascoltarci anche solo per non pensarci e per ascoltare dei brani bellissimi, di compositori che hanno diritto ad essere ricordati e suonati. Non tutti, comunque, associano questo tipo di musica a quegli anni. Questo è quello che ha commosso di più dell’intera situazione, che ci abbiano accolto con affetto.

La tournée è stata interamente ripresa da una troupe che ha realizzato un documentario (“Max Raabe in Israel”) e questo ci ha molto incuriosito. Abbiamo cercato di capire se e come fosse nato un confronto tra i membri dell’orchestra, tutti tedeschi ad eccezione di Cecilia. “Privatamente non è nato un dialogo , ma davanti alle telecamere si. Non è che si parli di quel periodo, tra di noi. Non perché si dia per scontato… forse loro lo hanno fatto quando l’orchestra si è formata, trentacinque anni fa. Con me un po’ meno: ormai il lavoro che viene portato in giro, come presentarsi, come suonare sono aspetti chiari. Ci sono alcuni che leggono qualcosa di inerente, ma per interesse personale.

Essere un musicista, oggi come in passato, equivale ad avere un ruolo anche politico, una responsabilità politica che sia anche solo la scelta di non averlo e non interessarsene? Ci siamo chiesti quale sia la funzione sociale, il ruolo nella società, di chi per lavoro si occupa di musica. Se si possa conciliare il dovere con la propria etica, a volte, e se Cecilia si fosse mai trovata nella situazione di dover fare delle scelte di questo tipo. “Un musicista può avere un peso politico, ma forse non dovrebbe averlo. Alcune volte noi suoniamo anche in feste private ed è venuta fuori la questione del suonare per qualcuno che ha fatto questo e quest’altro… Io quando suono non penso alla politica, né a chi è seduto in prima fila o nell’ultima, ma a suonare questo tipo di musica perché è bella, composta in modo geniale, con testi spesso divertenti. Sono da poco sui social e sto riflettendo sul cosa condividere e cosa no, perché voglio appunto rimanere nel mio ruolo.

I Club e la musica techno sembrano essere ancora uno dei motori della capitale tedesca, anche se a Berlino convivono tante altre culture musicali, a volte messe in ombra. “Berlino offre tutti i generi musicali che esistono. Io non conosco la cultura techno, forse questo interesse è una moda, forse si vuole far conoscere questo della città, ma io so di tante persone che arrivano per andare invece alla Philarmonie a sentire un concerto classico.

Le chiediamo dove passa, quindi, le sue serate mondane: “Ho pochissimo tempo libero, con i bambini, ma anni fa andavo ogni tanto al Quasimodo, per ascoltare musica jazz. Oppure cercavo dei localini dove ascoltare generi diversi da scoprire ogni volta. L’unica cosa che non mi attrae troppo è la musica contemporanea, ma forse è una mia ignoranza.

Oltre alla carriera, Cecilia è anche una mamma di due bambini, Julia e Nicolas, che cerca di stimolare e portare con sé il più possibile. “Alla fine ho sposato un italiano! Non so se con un tedesco mi sarei mai trovata. Mio marito è messinese, quindi alla fine sono tornata alle origini! Ci siamo innamorati e abbiamo trovato un modo per stare insieme, anche se per anni abbiamo vissuto in città diverse, anche dopo il matrimonio e la nascita di Julia, che portavo in tournée con me. Adesso ha quattro anni e ha iniziato l’anno scorso con il violino e quest’anno con il pianoforte. Chiaramente è un gioco per lei, ma non ha importanza. È quello che manca nella quotidianità delle famiglie: non abbiate paura della musica classica, o di comprare uno strumento, anche scarso, ai vostri figli. Oggi abbiamo tanto a nostra disposizione, insegnanti e strumenti alla portata di tutti, ma manca ancora la cultura nelle scuole e nelle famiglie.

La musica classica non è un privilegio, ma un’opportunità, come la libertà che Berlino ha saputo trasmetterle e che l’ha fatta innamorare dal primo momento. Buona fortuna, Cecilia!