Professore di lettere e filologia classica, docente di glottologia, psicologia, lingue, letteratura, filosofia e religioni orientali, aveva avuto da madre natura una freccia in più al suo arco: il fascino, che si esprimeva — e non era suggestione— attraverso una sorta di fatalismo (non rassegnato) che egli attingeva dalla sua indole russa.

E la sua origine (non lontana) euro-orientale, l’aveva “caricato” di una particolare passione per l’erudizione e gli studi.

Sorvegliatissimo nell’arte del dire, sapeva porgere e conosceva da maestro il valore delle pause e delle parole… non dette, ma “lasciate lì” o “buttate” con apparente non chalan ce, come si getta un “carico” sul tavolo verde. Parola che poi, solitamente, riprendeva e analizzava con maestria; ingrediente, questo, chiaramente “energetico” nell’economia del suo periodare.

Eppure si poteva dire e pensare di lui che era tanto abile, quanto, a tratti, addirittura candido; e forse anche questo era un aspetto non facilmente sondabile della sua complessa personalità che, per una sorta d’ingegno quasi funambolesco, mostrava compiacenze, verrebbe a dirsi, quasi .. . istrioniche, ma sempre rispettose dei postulati estetici.

Era senza dubbio un dotato; conosceva l’arte della persuasione e quando (e se…) dava, sapeva farlo con grazia sapiente, sia che accordasse un favore o consegnasse, in tutta solennità, un premio.

Questo Igor Istomin, un Presidente che pareva tagliato apposta per una carica tanto impegnativa quale è quella che assomma in sé un portato culturale tanto variegato ed espanso come può esserlo e di fatto è un’Accademia.

Lao d’AC.

La nascita dell’Accademia secondo Igor Istomin

All’apertura del 175° Anno accademico della “Tiberina” (1987) l’allora Presidente generale Duca Prof. Dr. Igor Istomin tenne, da quel fascinoso “porgitore” che era, la prolusione di rito; e quella volta, in forma “discorsiva” e un po’ spregiudicata, richiamando all’esordio l’attenzione dei numerosi e sceltissimi convenuti su di una curiosità dell’emblematica cornice della manifestazione, al solito caratterizzata dai colori sbrigativamente indicati dai più come giallo-oro e rosso. Nella circostanza egli ebbe a precisare che i colori accademici, gli stessi di Roma, sono in realtà oro ed amaranto.

E dopo aver proposto all’uditorio altre curiosità e spigolature storiche, da quel fine ricercatore che era, introducendo da par suo il discorso sull’Accademia, Istomin ha ricordato come la “Tiberina” sia sorta, com’è noto, dalle ceneri della cessata “Ellenica”, sottolineando, in quell’ambito, un certo dissidio insorto tra un “ellenico” che, secondo l’uso del tempo, si celava sotto lo pseudonimo di Alceo Lesbico (per il fatto di essere per l’appunto originario di Lesbio) e “Tirteo Lacedemonio”, sotto il cui “paravento” si celava il focoso e battagliero Gioachino Belli.

Nel dibattito che ne segui, scaturito da moventi più o meno banali, il “Lesbico”, mal reggendo il confronto con l’estroso poeta ebbe il torto di insolentire quest’ultimo in modo piuttosto grossolano e… pericoloso per quei tempi di restaurazione, anagrammandone il nome accademico con una semplice divisione sillabica, così da risultare “là — c’è — demonio”. Di qui — rilevò Istomin — alla minaccia di un fracco di legnate il passo fu assai breve. Sta di fatto che tale episodio influi non poco sulla “morte” dell’Ellenica, beninteso, insieme con altri motivi.

L’Istituzione “esotica” lasciò ipso facto il campo alla “Tiberina”, la quale, in verità avrebbe dovuto chiamarsi, per i più, “romana” stando alle prime proposte; ma non si potè adottare tale nome poiché esisteva già una “Accademia Pontificia Romana
Venne adottata così l’attuale denominazione, da Tiber in onore del protettore della Città.

Tra i primissimi atti dei fondatori da segnalare — ricordò in quell’occasione il Presidente Istomin — vi fu la nomina di un tesoriere, il primo della serie. La scelta cadde per indicazione unanime sull’Accademico Filippo De Romanis, il quale aveva preso parte alla dichiarazione con la quale “… la pluralità dell’Acc. Ellenica, radunata legalmente la sera dell’8 aprile 1813 in numero di 35 “individui” decretava la soppressione dell’Acc. stessa, considerandola da quel momento disciolta”. E a poche ore di distanza, ventisette dei trentacinque menzionati, sancivano la nascita ufficiale della “Tiberina”.

Ebbene, quel 9 di aprile il tesoriere Filippo De Romanis — è sempre il gustoso racconto di Istomin — ricevette dai consoci “due scudi e trenta palanche”, con le quali avrebbe dovuto assicurare la nuova gestione. Turbato, il poveretto si avanzò nell’aula e protese le palme in avanti che esponevano la modesta somma, lamentò, con dignitosa protesta:

“Voi mi fate Tesoriere.., ma senza tesoro! Quindi mi trovo privo delle funzioni che si addicono al titolo stesso e privo di ciò che mi dà diritto a sedere nel vostro consesso!”.

Certamente la “cosa” dovette essere conveniente accomodata; ma la citazione per evidente analogia, ha offerto ad Istomin il destro di calcare sull’attualizzazione di quell’antica difficoltà, col ricordare che “l”Accademia non aveva finanziamenti di sorta, come non ne ha oggi”. Non siamo — egli ha incalzato — finanziati né dallo Stato, né dal Comune, né dalle province o dalla Regione: da niente e nessuno, insomma! Siamo finanziati dalle nostre saccocce, dai quattrini, cioè, di tasca nostra; e con quelli — ha affermato orgogliosamente — tiriamo avanti”.

Ma per tornare al De Romanis a proposito di autofinanziamenti i neo Tiberini stabilirono già da allora, che, scegliendo tra i soci fondatori o nel novero dei membri più influenti, ogni anno si nominasse un nuovo presidente, in modo da far coniare una medaglia d’argento con lo stemma Tiberino corredato in calce dal motto e, sul retro, il nome del Presidente in carica, i dati componenti l’anno dell’Istituzione stessa e gli anni dalla fondazione di Roma.

Tutti i soci, per rimanere tali, dovevano acquistare questa medaglia, il cui “valsente” serviva ad assicurarne la gestione.

L’abate Antonio Coppi, già “Arconte” ellenico e indi presidente della nuova Accademia, fu il campione tra i fedelissimi: all’atto della sua morte possedeva infatti un medagliere di ben 56 pezzi!

Nel 1955 l’Accademia ha “trovato” una grossa alleata nell’Unione della Legion d’Oro, che si è accollata — ha detto ancora il Presidente — “il dovere e l’incarico di sostenere la Tiberina stessa, fornendo una certa quantità di denaro che ci per-mettesse, se non altro, di pagare gli affitti”.

“Perché abbiamo sempre rifiutato — egli ha poi soggiunto a mo’ di interrogativo —gli aiuti “altrui” nonostante fossero cospicue le offerte da parte di molti ambienti? (e qui ha sciorinato un lungo elenco…) Per assicurare all’istituzione —è stata l’ovvia risposta che si è dato in quello che è apparso un “monologo” — la sua indipendenza, che, nel caso di “protezioni”, sarebbe stata immancabilmente viziata da “raccomandazioni” se non addirittura da imposizioni, di cui sarebbe stato difficile non tener conto”.

Era ovviamente “gente” dalle più varie provenienze, — Egli volle sottolineare —quella che si è presentata esibendo o promettendo “assegni sodi e pesanti”.

“La mia risposta — ha precisato il Presidente Istomin — è stata sempre no; e nonostante ciò abbiamo tirato avanti (si era nel 1987 — n.d.r.) per 175 anni.

“Ora — ha continuato testualmente Istomm — le vicissitudini sono state tante; una grande traversia ce l’ha procurata il fascismo. Mussolini era un vero dittatore, non c’era niente da dire, cioè la sua parola era legge; era invece uso che ogni accademia si reggesse secondo i propri regolamenti, a norma dei quali poteva votare, cambiare, sciogliersi, ecc., secondo la votazione dei facenti parte.

A quel tempo c’era l’ACCADEMIA D’ITALIA, che, nata da poco, scarseggiava di nomi. Ad un certo punto venne fuori una disposizione indiscutibile per la quale l’Accademia d’Italia fagocitava i Lincei, la Tiberina, la Santa Cecilia, la San Luca, il Cimento, la Crusca, ecc., diventando veramente qualcosa di grandioso. Le fu assegnato quell’edificio che oggi ha l’Accademia dei Lincei noto come “La Farnesina”; non era cosa fatta male; solamente ci si mise di mezzo la politica e questo fu un guaio… Ovverossia ogni paese, anche il più piccolo, aspira ad avere una propria Accademia nazionale… ma ad un certo punto finì che per entrare in quell’Accademia bisognava avere dei meriti fascisti. Vi entrarono quindi delle figure di mezza tacca, che però, essendo Accademici d’Italia, portavano il titolo di Eccellenza ed oltre a certi vari emolumenti, godevano dei diritti di posizione e precedenza nelle cerimonie pubbliche rispetto ai “Gran Croce” dell’Ordine della Corona d’Italia”. Naturalmente, quando tutte le cose finirono in un gran guaio; per noi fu un bene perché ad un certo momento smantellarono completamente l’Accademia d’Italia; ma questa fu poi una stupidata (e io parlo contro i nostri stessi interessi) perché era giusto che buttassero fuori quelli che non meritavano di farne parte; ma annullarla, distruggerla, proprio no. Cosicché ad un certo punto ci ritrovammo liberi di riprendere la nostra vita accademica.

Per fortuna nel 1949 sussistevano ancora degli Accademici originari, che si riunirono il 5 aprile e restaurarono “ab integro” l’Accademia Tiberina”.

“Non mancarono tuttavia — ha rilevato ancora il prof. Istomin — grosse “buggerature” (e qui mi scuso per il termine…) dal momento che l’Accademia aveva inglobato, della “Tiberina”, ventisette-mila “pezzi” catalogati; e se molti erano libri, parecchi erano manoscritti autentici di autori come Bellini, Rossini, Donizetti; “cose”, insomma, che avevano un grande valore intrinseco! Ma non solo: furono registrati — è la conclusione — tutti i volumi, ed in questo caso fu abbastanza semplice, perché venne strappato il “foglio di risguardo” che dava impaccio e fu messo un bel timbro sull’ultimo foglio di testo. Si trovarono tuttavia inguaiati quando quello che si chiamava foglio di risguardo non era vuoto, e non era possibile strapparlo senza menomare il libro. Dovettero così apporre il loro timbro su quello, e così si seppe l’originale proprietario.

Per fortuna — ha concluso il Presidente dopo una breve pausa per staccare l’argomento
siamo sostenuti dalla Legion d’Oro, che è un “Classification Club” sul tipo del Lions e del Rotary e riunisce coloro che aspirano ad una aristocrazia dello spirito in un clima di fraternità sociale tendente al progresso ed al miglioramento sia personale che d’ambiente”.