L’Accademia Tiberina venne così fondata in Roma il 9 aprile 1813 da un gruppo di 26 privati cittadini, dotti e letterati di tutta Italia, residenti nell’URBE (fra i quali: i poeti Giuseppe Gioachino Belli e Jacopo Ferretti, lo storico Antonio Coppi, il medico patriota Pietro Sterbini e l’umanista Gaetano Celti), con lo scopo precipuo: (a) di coltivare le scienze e le lettere latine e italiane e, particolarmente, tutto ciò che riguardava l’Urbe e gli studi storici su Roma; (b) per impegno assunto dallo stesso Coppi, Istoriografo Tiberino, di compilare una storia politico-civile (come si legge nell’Atto di Adunanza dell’11-IV-1813), dal primo armo del regno di Odoacre sino al pontificato di Clemente XIV, e una Storia letteraria dell’epoca suddetta “sino ai tempi presenti, e progressivamente nell’avvenire”.

Primo Presidente dell’“Accademia Tiberina” fu l’Abate Antonio Coppi, già Arconte, (presidente) dell’“Accademia Ellenica”, coadiuvato nella direzione della Istituzione, dal poeta Giuseppe Gioachino Belli e dall’Abate umanista Gaetano Celli.

A costoro si debbono il primo Statuto e il primo Regolamento della “Tiberina”.

Il 9 febbraio 1816 l’Accademia ottenne dal Collegio dei Conservatori di Roma (Senato) di potersi fregiare “in perpetuo” dello Scudo del Senato e del Popolo Romano (S.P.Q.R.), con la facoltà di esporlo sulla porta esterna della Sede dell’Accademia.

In data 23 febbraio 1816 venne adottato su disegno dell’Accademico Carlo Federico Voigt di Monaco di Baviera l’emblema dell’Accademia, che si descrive come segue: “In primo piano la personificazione del Dio Tevere (Tiberis), rappresentato da un vecchio barbuto e coronato d’alloro, seduto, con delle spighe nella sinistra e nella destra un remo; tiene appoggiato il destro gomito sopra un’anfora rovesciata, dalla quale sgorga un fiotto che, serpeggiando a valle, forma il corso del fiume, sulla cui riva sinistra, in secondo piano, sotto il “Ficus Ruminalis”, stilizzato in doppio tronco, la Lupa Romana allatta Romolo e Remo, salvati dalle acque. Sotto, su due righe, è il motto dell’Accademia, proposto dall’Accademico Filippo De Romanis, e già accettato il 10-4-1813: “Alterius sic altera poscit opem”.

Nello stesso anno 1816 l’Accademia fu autorizzata ad esporre lo Scudo di Roma, affiancato dallo Stemma Pontificio.

In data 23 maggio 1824, il Sommo Pontefice Leone XII, tramite il Senato Romano, concedette “in perpetuo” all’Accademia Tiberina l’uso dello Stemma Pontificio “sovrastante” l’emblema Tiberino, secondo lo specifico disegno, dallo stesso Pontefice personalmente eseguito e di sua mano firmato. Tale emblema, pur riproducendo gli elementi caratteristici di quello adottato il
23-2-1816, riportava quali aggiunte e varianti al di sopra dell’emblema stesso lo Stemma Pontificio con le chiavi decussate e la Tiara, e, in banda alta, il nome “Leo P.P.XII”; mentre il Motto Accademico veniva riportato, in banda svolazzante, al di sotto dell’emblema.

Per la sua validità, l’istituzione fu rispettata e confermata dallo Stato Pontificio con Decreto del 20 febbraio 1825 della Sacra Congregazione degli Studi (Ministero della Pubblica Istruzione della S. Sede), nonostante le leggi restrittive emanate nel 1824, in materia di istituzioni culturali e accademiche in genere, dallo stesso Papa Leone XII. Anzi, dopo i disordini politici del 1831, l’Accademia ottenne con decreto in data 22 febbraio 1833 della sopra citata Sacra Congregazione degli Studi un nuovo incarico, quello cioè di orientare le sue ricerche ed i suoi programmi di studi anche verso l’agricoltura, le arti e il commercio, ampliando così notevolmente i propri campi di attività e di interesse.

Rovine del Tempio creduto della Concordia sulla salita del Campidoglio

Il 13 agosto 1833 l’Accademia con i nuovi Statuti e Regolamenti, firmati tra l’altro pure dal poeta Giuseppe Gioachino Belli, approvati ufficialmente dalla Sacra Congregazione degli Studi dello Stato Pontificio con Decreto in data 1 giugno 1840, firmato, per delega del Sommo Pontefice, dal Prefetto della Congregazione stessa, Cardinale di Santa Romana Chiesa A. Lambruschini – concretò meglio il proprio indirizzo: coltivare le scienze, le arti, le lettere e gli studi riguardanti la civiltà romana e promuovere lo sviluppo dell’agronomia con particolare riguardo all’Agro Romano.

Con Decreto N. 341 del 2 marzo 1858, per personale volontà del Sommo Pontefice Pio IX che tanto ebbe sempre a cuore l’Istituzione Tiberina – la Sacra Congregazione degli Studi dello Stato Pontificio concedette all’Accademia l’onorifico titolo di “Pontificia”, titolo che, per contingenti vicende politiche, legate all’attrito allora insorto fra il Governo fascista e la Santa Sede, non venne più usato a partire dal 1932. I “Tiberini” non hanno mai tuttavia, rinunciato al suddetto alto titolo onorifico nè giuridicamente né “de facto”, titolo che, pertanto, spetta sempre “de jure”, anche in epoca odierna, alla Istituzione.

Nel 1878 il Sommo Pontefice Leone XIII, altro grande Protettore della Istituzione, concesse ospitalità permanente all’Accademia Tiberina nel Palazzo della Cancelleria Apostolica in Roma, che peraltro rimase sede ufficiale dell’Accademia fino al 1906, anno nel quale per esigenze funzionali di alcuni Uffici della Santa Sede l’Istituzione dovette trasferirsi altrove.

Molteplice ed intensa fu l’attività accademica, che venne svolta regolarmente in periodiche tornate, cui presero parte, assiduamente, Accademici di ogni categoria. Tra gli Accademici Ordinari e Onorari si annoverarono i più luminosi ingegni italiani e i nomi più celebri e famosi del mondo; Capi di Stato e di Governo, innumeri Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, Principi e ben cinque Prelati che ascesero poi alla Cattedra di S. Pietro: Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, Pio XII, i quali tutti – anche dopo aver assunto la Tiara Pontificia – continuarono ad interessarsi personalmente, a proteggere e ad aiutare, in ogni modo, la ormai celebre Istituzione Culturale Romana, così come già prima aveva fatto Leone XII, che, non Tiberino, della “Tiberina” fu il primo estimatore.

Nel 1936 l’Accademia Tiberina – insieme con altre prestigiose Istituzioni tra le quali pure l’Accademia dei Lincei – dato il suo alto valore e la rinomanza dei suoi componenti, venne incorporata nella Reale Accademia d’Italia, dalla quale si distaccò dopo la seconda guerra mondiale. L’Accademia Tiberina, venne catalogata come “Istituzione Aggregata” all’Accademia di Studi Superiori Minerva autorizzata a conferire titoli di “Dottore e Professore” come si evince dal Decreto della Real Casa – Vittorio Emanuele III – Re D’Italia – nr. 158 di Prot. / Ug. del 04.11.1943. Infatti, dopo lo scioglimento della Reale Accademia d’Italia, un gruppo di Accademici Tiberini, tra i quali l’allora Segretario Perpetuo e Istoriografo (Accademici Tiberini superstiti che, a norma degli Statuti vigenti al momento della sua incorporazione nella Reale Accademia d’Italia, rappresentavano la continuità storica e giuridica della Pontificia Accademia Tiberina) – in applicazione dell’art. 33 della Costituzione della Repubblica Italiana, con regolare atto notarile del 5-4-49, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 80 parte II del 7-4-1949 pag. 892 ins. n. 13515, notificato al Ministero della Pubblica Istruzione in data 8 aprile 1949 e, altresì, alle altre principali Autorità dello Stato – riprese, giuridicamente e storicamente, l’attività della gloriosa Istituzione, con la denominazione di “Accademia Tiberina Libera Università di Alta Cultura”.

Altra veduta del Tempio della Concordia

Dopo un periodo di stasi, venne fatta la convocazione dell’Assemblea ordinaria prima e poi straordinaria degli Accademici Tiberini (Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 parte II del 24-12-1954 pag. 3363 ins. n. 10607) per l’elezione alle Cariche vacanti; la variazione nelle Cariche stesse ed il rinnovamento dello Statuto.

In data 21 gennaio 1955 per Rogito Notarile (rep. 85153, l’Ufficio Atti Pubblici di Roma N. 11954 vol. 99/4) entrava in atto il nuovo Statuto riordinato dal prof. dr. Fulvio Maroi, Ordinario della Cattedra di Diritto Privato dell’Università di Roma, per cui la denominazione dell’Istituzione venne così modificata “Accademia Tiberina, Istituto di Cultura Universitaria e di Studi Superiori”.

Tale Statuto venne negli anni modificato per aderire alle variazioni imposte dalle nuove disposizioni di legge, mantenendo sempre lo spirito e le finalità delle primitive costituzioni.

Da quel momento l’Istituzione ha ripreso in pieno lo sviluppo dei vari rami della cultura in Italia e nel mondo, irradiando dalla Città Eterna i principi fondamentali del sapere, così tenendo fede ai canoni approvati non solo al momento della sua fondazione, ma anche quelli voluti dai Sommi Pontefici, che avevano approvato e protetto l’Accademia.

Dalla data della sua fondazione a tutt’oggi sono entrati a far parte della Istituzione i più celebri e famosi personaggi di tutto il mondo: poeti, letterati, filosofi, artisti, scienziati, docenti universitari, giuristi, economisti, studiosi delle varie branche dello scibile umano, personalità religiose, politiche, dell’informazione, burocratiche, militari, personalità del mondo sociale e industriale, operativo e di altri settori.

Approfondimenti storici: tra le pieghe del tempo

Se è noto il contributo dato dal Belli al mantenimento del tono della “Tiberina” (l’ingegno del Belli fu esaltato, si ricorderà, dai più insigni letterati del suo tempo) va detto tuttavia che l’animo di questo grande artista della parola ebbe a risentire della sua condizione (in realtà molto “ristretta”); e questo spiega per buona parte un’ampia serie di reazioni ad un obiettivo stato di difficoltà che lo accomunarono ad altri eletti spiriti anelanti una conveniente libertà di espressione.

Il nucleo che dette origine all’Accademia Tiberina era in realtà composto da elementi di comprovato talento nelle varie discipline; e così pure munito di buona cultura era lo stuolo di sostenitori che non trovano purtroppo qui l’onore di una citazione, tanto dispersivo appare, a quasi duecent’anni di distanza, lo scenario di contorno.

Va tuttavia rilevato, per ribadimento, che se grande e vasta era la cultura di cui dette prova il presidente Antonio Coppi, non meno importante fu l’apporto che il Belli diede al Sodalizio da par suo, e pure i contributi dell’abate Celti, del dr. Sterbini, e di Giacomo Ferretti, quest’ultimo legatissimo al Belli. Una coalizione fortissima di cervelli, verso la quale le autorità del tempo non si mostrarono mai insensibili.

E va sottolineato pure che la maggior parte di essi – e ci riferiamo ovviamente ai più giovani – scalpitava, ed appariva sovente reazionaria e in odor… di zolfo, pur nella irreprensibilità del comportamento formale.

Non c’era infatti soltanto il Belli, idolo del popolo, a far la fronda a modo suo, ma v’erano pure – a margine – un Canova, eccelso scultore, un Leopoldo Cicognara coltissimo, che fu spirito irrequieto e tanto indomito da tener testa, poi, in una certa occasione, in Reggio Emilia, al nascente astro Napoleonico.

Il Cicognara si oppose infatti, elegantemente, ad una sentenza di morte che il Dittatore (il quale non aveva ancora cinto la corona imperiale ma era pur sempre temibilissimo) aveva fatto infliggere a tre giovani sconsiderati giudicati rivoluzionari “per dare un esempio”. Scelto infatti come “scrivano” a vergare la sentenza, che il Generale dettò di persona, il Cicognara rimase deliberatamente con le mani in mano, e quando il Corso volle rileggere lo scritto si ritrovò una pergamena bianca. Guardò allora irato il Cicognara, che sostenne l’imperioso sguardo con tutta serenità.

I due si parlarono in un attimo senza parole; il Generale, rabbonito da quel richiamo, buttò il foglio bofonchiando: “E vada, per questa volta…” E fu la grazia per i tre malcapitati.

C’erano dunque uomini di questa tempra, in quella “Tiberina” e il Governo Pontificio ritenne di dover tenerne conto.

Così utilizzò come Censore teatrale il Belli, e va detto che il poeta qui dimostrò – e quanto fu discusso! – forse troppa ortodossia nello svolgere l’incarico, fino ad arrivare a proibire opere che furoreggiavano fuori dallo Stato Pontificio. Si rifece, tuttavia poi, da tanta e tale “compressione”, con i suoi… esplosivi sonetti. Ma i tempi erano quelli, e non certo facili.

Belli affiancò dunque da par suo, e con entusiasmo l’attività dell’Abate Coppi e del Tesoriere Filippo de Romanis, colui che, va ricordato, propose per l’Accademia il motto “ALTERIUS SIC ALTERA POSCIT OPEM” (L’aiuto altrui pur così altera accoglie).

Sponda di Ripa - il Tempio di Vesta e la Cloaca Massima

Roma ha sempre accolto a braccia aperte i talenti d’ogni latitudine; ma si deve segnalare qui una curiosità particolare; parte degli uomini che fecero (o contribuirono) nel tempo al potenziamento e al prestigio della Tiberina, vennero dall’esterno, o, più precisamente, come si diceva legittimamente allora, dall’estero. A cominciare dal Coppi, che era nato a Torino nel 1783 (e che a Roma morì nel 1870). Romanaccio de Roma fu invece il poeta per antonomasia (che aveva peraltro a contorno un nucleo di amici poeti, e non indegni!) al quale Roma solo in morte, come sempre capita, tributò grandi onori, al punto da dedicargli una piazza (già “Italia”) ed erigergli un monumento-fontana, opera dello scultore Michele Stripiano.

Ma soprattutto al Coppi spetta il merito di aver delineato scopi e finalità sociali dell’Accademia; così egli, nella sua qualità di storico propose (e di fatto curò) la pubblicazione della “Storia Civile della Città di Roma dal primo anno del Regno di Odoacre (476) sino al Pontificato di Clemente XIV (1769-1774)”. Egli propose altresì la compilazione di una “Storia letteraria” sempre a far tempo dal 476, così come sollecitò gli Accademici a coltivare le scienze, le belle lettere latine ed italiane, esortando peraltro i soci a riunirsi settimanalmente per esaminare e discutere delle problematiche proposte dalla cultura in generale.

Sua è infine la proposta di tenere una solenne seduta bimestrale per prendere in considerazione ed esaminare le eventuali scoperte scientifiche o nuovi saggi letterari; il tutto sempre nel limite del costume e dei valori cristiani. Che tale valore sia stato poi sempre portato coerentemente dall’Accademia va ricordato ancora; specialmente in occasione del ritorno a Roma del Pontefice Pio VII dalla prigionia francese, il 25 maggio 1814, la “Tiberina” gli tributò solenni festeggiamenti. In tale fausta circostanza, il letterato Conte Giulio Perticari, pesarese e genero del celebrato poeta Vincenzo Monti, compose una “cantica” appunto “montiniana”, in terzine, intitolata “Il Prigioniero Apostolico”, che venne poi letta in Sede accademica e pubblicata dall’Organo ufficiale della Istituzione, denominato “Diario Romano”, e noto successivamente sotto il titolo di “Effemeridi romane”.

E’ questo il tempo specifico in cui l’Accademia conferma il carattere e la distinzione di “antesignana del classicismo in letteratura e del purismo della Lingua italiana”, mantenendo peraltro i valori già attestati verso la Santa Sede.