Giorni lontani fùr - che mente umana ignora - in cui larga abbondanza s’ebbe di fauna e flora; e convien dir che pure all’Animale (inteso come “regno”...) non l’andò poi male. E questo, a parte di quel “quotidiano” ch’era l’incerto proprio del momento: qualche più o men vistoso accadimento, come veder volar corposi buoi o mostri ancor più strani; o sussultare i monti al gran galoppo; talchè la tana era, diciam, sicura quando escavata nella roccia dura; ed a tenervi fuori gli “sgraditi” bastavan pochi massi ben cerniti. Era, in quell’Era il “Mar di mezzo” non ancor scolpito dal pandemonio mosso dai vulcani (che l’Alpe tutta sollevò nel cielo); così che l’Afro-Furopa, tenue, una crosta amica di terre emerse in gran pianoro univa. Fluiva allora florida la vita, pur se doveva ognun da mane a sera adoperarsi a procurar ricetto a genti e armenti... E andò a millenni, quando, un brutto giorno il ciel si fece scuro tutt’intorno; e in quella “notte strana” il mondo strabalzò più del consueto. Tremenda, la buriana a lungo si protrasse; la terra a Meridione sprofondò nel cataclisma immane. Fu un’ecatombe; e poi la quiete s’insinuo... E l’Uomo ch’è un pochetto scordarello, tornò a mirar il cielo a nuovo bello. E nel silenzio attonito, irreale, la gente si contò; trovò che in fondo in fondo, bene o male, vale talora il detto, inver verace, “Chi vive si dà pace” (pur se penosa è l’ora). Gli occhi, d’allor rimaser, però, fissi sul ciglio degli abissi. Si vide allora - oh, grande meraviglia! — (pur nella tentazione di scappare) scorrere un mare d’acque dirompenti; acque a torrenti, dentro la gran valle ch’era una volta l’ospital pianura. E crebbe ancora, crebbe a dismisura, colmo di sabbie e di fanghiglia avara; fu, quello, il Mar di mezzo, sorto tra i Continenti da tal furore tremendo oramai disgiunti. E a quel travasamento il grand’umor d’Oceano provvide, poiché ingoiata avevasi l’Atlantide ad intero, e l’onde giù, nel gozzo, or più non ratteneva. (Ma l’Africano suolo ancora anela l’antico sodalizio; protervo ognor sospinge le coste Calabresi e Corse e Sarde agli alti paralleli. (e chi vivrà vedrà!). Or dalle terre divorate e spente Vennero a flotte bronzei natanti recanti gli scampati, che s’adattar sui picchi al par d’uccelli stanchi, tregua a cercar nel pelago achetato. D’allor quei nauti esperti - adusi al mare immenso — fatti terramaricoli, dall’isole disperse ripresero a cercarsi - non più congiunti - per sponde del neo mare, a barattar fra d essi i magri loro averi. E col ruotar dei secoli qui sorsero i Tirreni padri ad Etruschi e Toschi, come dall’ime coste nacquero i Bruzi. Dall’Ellade, frattanto presero caute il mar genti gagliarde all”’Esperia” puntando (la più vicina) d’una terra opima di vitellame errante e di cinghiali. Giunsero a mille le anelanti schiatte a popolar le rive ancora infide per bizze di vulcani e scorribande d’empi.